Biografia
La fanciullezza
Piero Martinetti nacque il 21 agosto 1872 a Pont Canavese, allora in provincia di Aosta, da Francesco Martinetti (1846-1921) e da Rosalia Bertogliatti (1846-1927). Il padre, appartenente a una famiglia di tradizione notarile, era avvocato; la madre discendeva da una nobile famiglia canavesana. Le proprietà familiari comprendevano, fra l’altro, il podere di Spineto di Castellamonte, a cui Martinetti si dimostrò sempre affezionato e che costituì, negli anni del ritiro dopo l’esclusione dall’insegnamento universitario, la sua principale fonte di sostentamento oltre alla pensione. L’ambiente familiare era aperto alle nuove idee: il padre fu un ardente mazziniano; la madre una donna colta, vicina agli ideali illuministici e laici; la nonna materna, Teresa Perotti, di forte tempra e spirito liberale, esercitò su di lui una grande influenza. Piero fu il primogenito: oltre a lui la famiglia comprendeva anche la sorella Teresa (1875-1954), insegnante e traduttrice dal tedesco, e i fratelli Michelangelo, scomparso ancora giovane, e Lorenzo (1882-1946), avvocato.
Gli studi e le prime opere
Dopo i primi studi, compiuti sotto la guida materna, Martinetti completò le elementari al Collegio Civico di Ivrea, città dove in seguito frequentò anche il Ginnasio e il Liceo. Nel 1889 si iscrisse, per volere del padre, alla facoltà di giurisprudenza della Regia Università di Torino. Tuttavia si trasferì quasi subito alla facoltà di Filosofia, seguendo le sue inclinazioni personali [1] . Suoi maestri furono il neokantiano positivista Pasquale D’Ercole, il pedagogista Giuseppe Allievo, l’orientalista Giovanni Flechia, e Arturo Graf. Quattro anni dopo si laureò con una tesi sul sistema Sankhya (una dottrina dualistica indiana del VI secolo d.C.), che sarà oggetto della sua prima pubblicazione, vincitrice del Premio Gautieri 1897 [2]. Conseguita la laurea, in attesa di concorrere per una cattedra liceale, si trasferì a Lipsia per un soggiorno di studio (1894-95). Ottenuta la cattedra mediante un concorso nazionale venne assegnato ad Avellino, dove trascorse un soggiorno di un anno poco felice. Venne quindi trasferito a Correggio, Vigevano, Ivrea e infine a Torino, presso il Liceo Alfieri. In questo periodo portò a compimento la sua prima opera di una certa importanza, una Introduzione alla metafisica, parzialmente pubblicata nel 1902.
Intellettuale laico e antidogmatico
La pubblicazione dell’Introduzione alla metafisica gli consentì di concorrere alle cattedre universitarie di Filosofia teoretica[3], e nel 1906 entrò all’Accademia scientifico-letteraria di Milano (che nel 1923 divenne la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università Statale) [4]. Negli anni 1905-06 provvide alla stesura, mai ultimata, della seconda parte dell’Introduzione alla metafisica. Le relazioni con Gentile e Croce, a cui lo univa l’orientamento idealistico e la reazione anti-positivistica, furono inizialmente buone. Tuttavia la differenza fra le loro concezioni (e, nel caso di Gentile, la ben diversa scelta politica), distanziarono in fretta Martinetti e gli altri maggiori esponenti dell’idealismo italiano. Nel dopoguerra il suo interesse filosofico-religioso sembrò spostarsi verso il lato pratico della religione rispetto a quello teoretico. Nel 1920 fondò a Milano la «Società di studi filosofici e religiosi», all’insegna dello spirito antidogmatico e caratterizzata, più che da uno specifico programma, dall’intenzione di offrire una risposta ai bisogni spirituali che superasse quelle della religione tradizionale o delle filosofie «immanentistiche». Gli scritti su La psiche degli animali e Il compito della filosofia nell’ora presente nacquero dalle conferenze tenute presso la Società; e in linea con lo stesso intento di esercitare un libero «magistero spirituale» apparve il Breviario di metafisica (1926).
Quello stesso anno fu invitato dalla Società Filosofica Italiana a presiedere il VI Congresso Nazionale di Filosofia. Era consuetudine della SFI concedere al presidente la piena libertà di organizzazione, ma nel suo caso gli venne richiesto di coinvolgere gli insegnanti dell’Università Cattolica di Milano, retta da padre Agostino Gemelli, con il quale Martinetti non era in buoni rapporti. Il congresso pertanto si aprì in un clima di forte tensione, anche per la presenza di relatori antifascisti, critici verso il nuovo clima politico, e del sacerdote scomunicato Ernesto Buonaiuti, modernista, la cui inclusione tra i relatori provocò il ritiro del gruppo della Cattolica di Milano. Le forti reazioni suscitate dalla relazione di De Sarlo, apertamente critica verso il regime, determinò addirittura l’intervento del prefetto, che impose lo scioglimento del congresso e avviò provvedimenti disciplinari nei confronti di Martinetti (successivamente ritirati grazie all’intervento di amici e colleghi). L’immagine di intellettuale laico, razionalista e cosmopolita, distante sia da quella che stava diventando la filosofia accademica ufficiale (quella gentiliana), sia dagli estremismi religiosi e dal pensiero socialista e comunista, venne rafforzata dal fiero discorso che Martinetti tenne a Castellamonte nel settembre 1926 verso gli studenti universitari canavesani, nonché dalla significativa opera sulla libertà (1928).
Il rifiuto del giuramento di fedeltà al regime
Nel 1931 il ministro dell’educazione nazionale Giuliano impose ai docenti universitari un giuramento, secondo la nuova formula che richiedeva di esprimente esplicita devozione al regime, al re e alle leggi fasciste. Martinetti fu tra i dodici, su 1225, che rifiutarono di prestare fedeltà (con lui: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Bartolo Negrisoli, Francesco e Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra). Perse dunque la cattedra e rinunciò a tutti gli incarichi di studio e ricerca, ritirandosi a partire dal 1932 a vivere nell’amata «vigna» di Spineto, dove venne raggiunto dalla sorella Teresa. A torto sospettato di attività antifascista, per via della sua corrispondenza con intellettuali invisi al regime, in particolare con alcuni esponenti del movimento clandestino «Giustizia e Libertà», subì nel 1935 l’arresto trascorrendo alcuni giorni nelle nuove carceri di Torino[5]
Gli anni del ritiro
Oltre allo studio e all’attività di traduzione, l’impegno più rilevante degli anni del ritiro fu senz’altro la collaborazione con la «Rivista di filosofia», di cui fu il vero ispiratore in tutti gli anni della direzione di Fossati. In un clima intellettuale conformistico il periodico, aperto alla cultura europea e alle nuove correnti come la fenomenologia e l’empirismo logico, ospitò studi di grande rigore critico (p.es. quelli di Bobbio su Husserl e Scheler; quelli di Geymonat sul circolo di Vienna), e pubblicò numeri monotematici di grande valore (p.es. su Spinoza, Ardigò, Hegel). Nel 1934 apparve l’ultima opera di grande impegno di Martinetti, pubblicata a proprie spese, Gesù Cristo e il Cristianesimo. Condannata dalla Congregazione dell’Indice per i duri attacchi al cattolicesimo, l’opera venne sequestrata dalle autorità fasciste. Nel 1941 la salute di Martinetti peggiorò per via dell’arteriosclerosi. Due anni dopo si spense, a Cuorgné, successivamente a un infarto. Venne cremato e le sue ceneri riposano nel cimitero di Castellamonte.
[1] La carriera universitaria di Martinetti, ricostruibile dall’Archivio storico dell’Università di Torino, è documentata alle pp. 341-45 della «Rivista di Filosofia», vol. LXXXIV, n. 3, dicembre 1993.[2] La relazione con la quale la Reale Accademia delle Scienze di Torino accompagnò il conferimento del premio venne pubblicata nel 1898 e può essere reperita alle pp. 347-50 della «Rivista di Filosofia», vol. LXXXIV, n. 3, dicembre 1993.
[3] Si può leggere la relazione della Commissione Giudicatrice, ripresa dal «Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione» del 1906, alle pp. 351-64 della «Rivista di Filosofia», vol. LXXXIV, n. 3, dicembre 1993.
[4] I programmi dei corsi tenuti da Martinetti a Milano sono stati quasi integralmente ricostruiti alle pp. 365-69 della «Rivista di Filosofia», vol. LXXXIV, n. 3, dicembre 1993.
[5] È possibile leggere dei documenti che raccontano l’arresto e testimoniano le riflessioni martinettiane durante il periodo di detenzione, alle pp. 372-74 della «Rivista di Filosofi