Martinetti e Platone
"Il giovane è chiamato anche, anzi soprattutto, a partecipare al mondo dell'intelligenza, a trasformare la sua umanità, ad entrare a far parte di quella minoranza in cui si riassume la vita culturale della nazione e che è, sotto ogni aspetto, il fondamento vero della sua civiltà."L’invito che Martinetti rivolge ai giovani, volto a renderli protagonisti della vita culturale del loro Paese, si può confrontare con la riflessione di Platone, noto filosofo greco del IV secolo a.C., su cosa sia fondamentale conoscere per l’uomo e in che modo ciò sia possibile.
Nello sviluppo di questo ragionamento, egli suddivide la conoscenza in due generi: la doxa, ovvero l'opinione, incerta e variabile, che rappresenta la conoscenza sensibile; l’epistème, cioè la scienza, certa e stabile, identificabile con la conoscenza intelleggibile.
Nel mito della caverna, illustrato nel dialogo La repubblica, è presentato il modo in cui il filosofo acquisisce la conoscenza delle idee. La caverna è un luogo angosciante, i cui prigionieri, incatenati fin da fanciulli, scorgono soltanto alcune ombre proiettate sulla parete che sta loro di fronte. Essi ritengono che le ombre siano l’unica e vera realtà esistente e non possono immaginare ciò che accade alle loro spalle. Platone immagina che uno schiavo venga liberato dalle catene e trascinato all’esterno della caverna. Dopo aver scoperto che né le ombre che vedeva quando era incatenato, né gli oggetti che proiettavano le loro ombre sul muro, costituiscono la vera realtà, egli è abbagliato dalla luce del sole e, soltanto poco per volta, impara dapprima a discernere gli oggetti del mondo autentico, e alla fine a guardare direttamente il sole (l’idea somma del bene). Proprio come il giovane universitario del discorso di Martinetti, il filosofo, uscendo dalla caverna, rende le proprie conoscenze più vicine alla realtà: prima egli conosceva solo le ombre delle cose, con il tempo impara a conoscere le cose reali, e poi le idee. Riesce, dunque, "a trasformare la sua umanità".