Martinetti e Seneca

"Questo concetto della vita universitaria vi farà apparire, io spero, sotto un altro aspetto l'università, questa vostra madre spirituale, la cui tradizione è qualcosa di sacro e di infinitamente superiore alle persone [..]. Essa comprende in sé direttamente o indirettamente, tutta la preparazione culturale di un popolo, cioè quello che esso ha di più vitale e più sacro; tanto più in un paese, come il nostro, di scarsa vita culturale, l'università è la condizione, la sede e il centro di tutta la sua civiltà."

“Io mi sono appartato e ho sbarrato le porte per essere utile a molta gente. Non trascorro mai le giornate in ozio: parte della notte la dedico allo studio; non mi abbandono al sonno, vi soccombo e costringo al lavoro gli occhi che si chiudono stanchi per la veglia.”

Epistulae ad Lucilium, 8,1

Si tratta di un’opera scritta negli anni del secessus, divisa in venti libri contenenti centoventiquattro lettere scritte da Seneca all’amico Lucilio, funzionario imperiale in Sicilia, con lo scopo di condurlo verso l’otium e quindi alla sapienza.

Il passo di Seneca sottolinea l’importanza dello studio e della conoscenza che come fine hanno l’accrescimento personale e sociale e possono così implementare la cultura generale di una comunità.

Se Seneca sottolinea il valore della conoscenza, però critica  anche la vacuità dell’erudizione:

“È stata malattia dei Greci, codesta, di recare quale fu il numero dei relatori di Ulisse, se fu scritta prima l'Iliade o l'Odissea, inoltre se sono del medesimo autore, e poi altre cose di questo tenore, che puoi conservare per te, senza che aggiungano nessuna utilità al fatto che le sai e non ne parli, o puoi divulgare sembrando con ciò non più dotto ma più pedante. Ecco, anche i Romani ha invaso la vuota passione d'imparare cose inutili. In questi giorni ho udito un tale rievocare cose che ciascuno dei comandanti romani sia stato il primo a fare: Duilio fu il primo a vincere una battaglia navale, Curio Dentato fu il primo a condurre elefanti in un trionfo. Ancora sono cose, codeste, che pur non tendendo una gloria vera, vera hanno tuttavia per oggetto esempi di atti che riguardano lo Stato; non sarà certo di giovamento, una simile conoscenza, tuttavia è tale da interessare con argomenti belli, anche se vuoti.” 

De brevitate vitae 13, 2-3

L’opera, scritta dopo l’esilio, è indirizzata all’amico Paolino, un funzionario imperiale; affronta il tema della brevità della vita, per permettere al destinatario di comprendere come non sprecare il tempo in faccende inutili e vivere pienamente la vita.

 

Un ultimo confronto tra i due autori evidenzia come per entrambi la dedizione allo studio produca le condizioni essenziali per lo sviluppo della libertà morale.

"La vera felicità è una vita libera dai bisogni materiali e messa al servizio d'una personalità moralmente e intellettualmente raffinata."

“Perciò ti conduco là dove devono rifugiarsi tutti coloro che fuggono la fortuna, agli studi liberali: saranno loro a guarire la tua ferita, loro ad estirpare ogni affezione. Anche se tu non vi fossi mai stata avvezza agli studi, sarebbe stato adesso il momento di ricorrervi: ma, per quanto te lo ha permesso la severità all'antica di mio padre, di tutti i buoni studi hai, se non una padronanza, per lo meno una conoscenza superficiale. [...] A causa di queste donne qui, per le quali la cultura non è strumento di saggezza, ma corredo di cui fare sfarzo, egli non ti permise troppo di attendere agli studi. Ma grazie alla prontezza della tua intelligenza hai assorbito molto in proporzione al tempo che vi hai dedicato; sono state gettate le fondamenta di tutte le discipline: ora ritorna ad esse, ti manterranno al sicuro. Saranno loro a darti consolazione, loro a darti gioia, se entreranno loro sinceramente nel tuo animo, non vi entrerà mai più il dolore, mai più l'ansietà, mai più l'inutile tormento di una vana sofferenza.”

Consolatio ad helviam matrem, 17, 3-5

La lettera è indirizzata alla madre, preoccupata per l’esilio del figlio, per tranquillizzarla e consolarla

Seneca è uno dei principali filosofi stoici dell’età imperiale. Vive in ’età giulio-claudia, e gli imperatori con cui entra in contatto gli offrono la possibilità di vivere  esperienze che saranno alla base della sua riflessione e oggetto dei suoi studi. Caligola lo condanna a morte, ma si salva grazie all’intervento di un’amante dell’imperatore stesso; Claudio lo esilia in Corsica, da cui torna otto anni dopo su richiesta di Agrippina, per educare il figlio, Nerone, e renderlo un virtuoso. Tuttavia, il rapporto tra allievo e maestro si raffredda e Seneca si ritira a vita privata, per potersi dedicare allo studio e alle persone a lui più vicine.
Quando viene accusato di far parte di una congiura contro l’imperatore, in linea con i principi dello stoicismo, preferisce il suicidio a lasciarsi uccidere.

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